domenica 29 agosto 2010

14 colpi al cuore

AUTORI VARI


MONDADORI EDITORE


Recensione di Ivo Ginevra


Il mio amico avvocato Nino Bonanno mi ha prestato da leggere un libro di Autori Vari edito Mondatori nel 2001, dal titolo “14 colpi al cuore”.
Quest'antologia è curata da Serge Quadruppani e gli scrittori che è riuscito a raccogliere sotto l’etichetta Mondatori sono di tutto rispetto, basti dire che il primo racconto è di Andrea Camilleri, per l’appunto la “Ballata per Fofò La Matina”, divenuto in seguito quel meraviglioso e singolare romanzo di “La stagione della caccia” edito Sellerio.
Gli altri “Autori Vari” sono tutti famosi al pubblico di appassionati del noir e li elenco in stretto ordine di pubblicazione del racconto: Gianfranco Manfredi, Laura Grimaldi, Nino Filastò, Massimo Carlotto, Santo Piazzese, Danilo Arona, Marcello Fois, Enzo Fileno Carabba, Eraldo Baldini, Michele Serio, Giacomo Cacciatore, Casare Battisti e Sandrone Dazieri.
Ognuno di loro ha dato un racconto che è una piccola perla di 30 pagine circa.
A Quadruppani va indubbiamente dato il merito di avere saputo scegliere con cura questi autori e ognuno con il suo colpo sparato arriva dritto al cuore. Un cuore noir nella migliore tradizione italiana contemporanea.
Ad 8 anni dalla sua pubblicazione quest’Oscar Mondadori regge bene il confronto con altre raccolte di racconti del genere.
Le storie sono tutte veramente belle e diverse fra loro e (ad eccezione di quella di Cesare Battisti che non mi è piaciuta per niente e che ritengo un infortunio) non ho nulla da dire se non un grazie a questi autori che mi hanno dato un autentico momento di piacere.
La bellezza dell'antologia sta nel biglietto da visita consistente in un piccolo racconto consegnato dallo scrittore ad ogni lettore che non lo conosce o che lo ha solo sentito nominare, e l’effetto prodotto è quello di mettersi subito alla ricerca dei vari libri di questi autori; infatti non potrò esimermi di acquistare subito qualcosa di Gianfranco Manfredi che sconoscevo ed ho ammirato nella sua storia dal titolo “La matematica non è un opinione”. Stesso discorso vale per Laura Grimaldi con il suo racconto: “Tonio dai coltelli”, ed Eraldo Baldini con la sua “Spiaggia privata”. Pregevole anche la tensione creata da Michele Serio in “La casa infestata” e veramente bella la storia di Giacomo Cacciatore dal titolo “L’abbaglio”, dove in solo 31 pagine lo scrittore descrive brillantemente una storia di polizia intricata, con un linguaggio fresco e duttile, consegnandoci in modo caratterialmente completo il protagonista brigadiere di “piesse” in attesa si pensionamento, Vittorio Cacciamali. Un solo aggettivo per "Cane mangia cane" di Marcello Fois: bellissimo. Ha un incredibile personaggio e un finale strepitoso, così come il racconto di Massimo CarlottoStoria di Gabriella vedova della mala” che riprende ed anticipa i suoi romanzi con l’ormai famoso Alligatore. Bello e irreale “L’eclissi del granchio” di Nino Filastò, e impeccabile come sempre Sandrone Dazieri, nel suo inconfondibile stile asciutto dei “I ragazzi del jukebox”. Il racconto di Santo Piazzese, “L’estate di San Martino”, è bello, originale e anticipa di poco il linguaggio perfetto del suo terzo romanzo “Il soffio della Valanga”.
Se fossi stato componente di una giuria e per l’assegnazione del premio e mi fossero arrivati in finale questi 13 scrittori, avrei avuto serissime difficoltà per nominare un vincitore, ma poi senza voler togliere nulla dei propri meriti a nessuno, avrei scelto Fois perché completo nello stile ed in piena obbedienza al noir denso di colpi di scena. Una menzione l’avrei sicuramente data a Manfredi per la sua originalità, e poi anche a Cacciatore, Carlotto e Serio. Il maestro Camilleri l’avrei ovviamente messo fuori concorso e sono indegno anche di nominarlo.
Questo libro non lo restituirò mai più a Nino, anche se la Mondadori nel 2002 ha pubblicato un'altra edizione reperibile in commercio cambiando la veste grafica di copertina ed aggiungendo un racconto intitolato "Reinhardt Klotz" dell’ottimo Carlo Lucarelli, non presente in quello fregato al mio amico.

Ivo Ginevra

sabato 21 agosto 2010

Koechlin

Paradise for all

ALESSIO ROMANO

FAZI EDITORE

Recensione di Ivo Ginevra

La frase: “Uno scrittore dilettante inizia a scrivere quando è in crisi. Uno vero smette” pag. 36

Alessio Romano è indubbiamente un autore dai tratti geniali.
Mi ha costretto a rileggere il suo Paradise for all subito dopo averlo finito, e proprio per questo ne voglio parlare.
Innanzitutto gli si deve dar atto che il mix fra realtà e finzione è perfettamente riuscito.
La scuola di scrittura Holden con i suoi insegnanti da un lato (Veronesi, Baricco ecc.), la bella Elena, Filippo, il protagonista Matteo, con gli altri personaggi di pura finzione dall’altro, convivono talmente bene da far sembrare tutti esistenti o del tutto inventati.
Non a caso i migliori personaggi descritti sono uno reale (Veronesi), uno immaginario (Elena), ed uno a mezzo fra realtà e finzione, cioè lo stesso Romano scrittore del romanzo e protagonista della storia col nome di Matteo, ma c’è anche “Alessio il pescarese e anche lui scrive abbastanza bene”.
Questa era una sfida di gran lunga limitativa e Alessio Romano l’ha vinta senza replica alcuna.
Altra bella cosa di questo romanzo è il linguaggio diretto, ironico, incalzante, originale, divertente e soprattutto attuale, senza goticità, retorica o esercizi stilistici, inoltre qualche colpo di scena disseminato ad arte mantiene costantemente sveglia l’attenzione del lettore.
I tratti psicologici descrittivi dei protagonisti sono brevi, intensi, disponibili all’elaborazione mentale e chi legge li vede muovere conoscendo appieno le loro debolezze o qualità intellettive.
Queste 172 pagine sono un concentrato di una storia, maledetta, con droga, sesso, occulto, amicizia, potere, pazzia, bugie, violenza, amore e morte pervase da un intensa passione per la scrittura dei protagonisti di fantasia, di realtà e dello stesso Alessio Romano.

Un grande esordio questo Paradise for all.

Ivo Ginevra

lunedì 16 agosto 2010

Un colpo di vento

Ferdinand Von Schirach

Edizioni Longanesi


Recensione di Ivo Ginevra


La frase : La posizione del giudice per le indagini preliminari è forse la più interessante della giustizia penale. Ha una breve panoramica su ogni cosa, non deve sopportare lunghi dibattimenti e non deve ascoltare nessuno. Ma questa è solo una faccia della medaglia. L’altra è la solitudine. Il giudice per le indagini preliminari decide da solo. Tutto dipende da lui, chiude le persone in prigione, o le lascia libere. Esistono mestieri più semplici (pag. 154).
Il libro è composto da 11 racconti, tratti dalla diretta esperienza che l’autore, avvocato penalista tedesco, ha raccolto durante la sua carriera.
Quello che colpisce il lettore in questo romanzo è l’incedere lento, disilluso e assolutamente senza emozioni del narratore, che tratta tutti i casi giudiziari dei racconti, con il distacco professionale dell’avvocato penalista, al quale non interessa se il suo cliente è colpevole o innocente, perché il suo compito è solo difenderlo.
Il fascino del libro sta tutto qua, proprio nel tono distaccato di questa narrazione che in maniera del tutto asettica entra nella psiche del delinquente difeso anche con la consapevolezza che può aver commesso il crimine, pertanto la conseguente analisi del reo e di quanto lo ha portato a commettere il delitto, è diretta, semplice, senza aforismi, supposizioni, suggestioni o altre imperlature scientifiche, critiche, letterarie.
L’autore procede per tutto il libro nella descrizione inesorabile dei casi giudiziari secondo una geometria che attinge i suoi spunti cardini dalla certezza del processo e consequenziale pena, contrapposta alla motivazione socioculturale che ha generato il crimine.
In tutte le 237 pagine del libro non c’è alcun appagamento professionale nella trattazione del singolo caso giudiziario. Non c’è soltanto una cruda descrizione del fatto di cronaca. Non c’è la ricerca spasmodica della verità. C’è solo la descrizione dell’uomo con la sua ineluttabile miseria spirituale.
Ogni racconto ha qualcosa d’inoppugnabile.

Ivo Ginevra

P.S.
“Il caso letterario dell’anno” mi sembra eccessivo e poco credibile

sabato 14 agosto 2010

La paura della verità

Andrea Pazzaglia

Robin Edizioni


Recensione di Ivo Ginevra


“C’è un odore per ogni età della nostra vita”.
Andrea Pazzaglia in questo romanzo ci regala il personaggio di Leonardo Del Sapio. “Un po’ malinconico e amante della natura, che passa le sue giornate coltivando la terra, immerso nella tranquillità del podere dove abita. A quarant’anni ha finalmente trovato la vita che desiderava, circondato da amici con cui condividere una buona cena e più di qualche bicchiere di vino rosso. Amante delle donne, ma profondamente innamorato di sua moglie Mara, Leonardo scoprirà pian piano di avere un fiuto particolare nello svelare misteri apparentemente irrisolvibili”.
Diciamo subito non è un giallo ricco di colpi di scena, con inseguimenti, sparatorie, caterve di morti ammazzati e poliziotti. È un giallo, semplice, tenero, equilibrato, intimista, con perle di saggezza, e riflessioni naturali che sebbene possano apparire ovvie e scontate di questi tempi non sono quasi mai scritte, lette, raccontate. Il fascino della scrittura di Pazzaglia è tutto qua, nel rapporto con il quotidiano, con la terra, gli affetti, la semplicità delle piccole cose. Dei piccoli gesti.
È un libro piacevole che affascina col suo incedere pigro degli eventi. La forza di Pazzaglia sta proprio nell’aver saputo cogliere e ben rappresentare la gestazione del processo mentale che travolge, suo malgrado, il pacifico protagonista del romanzo trasformandolo da felice campagnolo in vero detective.
Il personaggio di Leonardo Del Sapio è fresco, umano, molto originale ed estremamente credibile. I suoi valori sono quelli classici della famiglia, dell’amore, dell’amicizia e sono mostrati senza retorica e falso perbenismo. Il linguaggio per esprimere questi concetti è essenziale, calibrato e al contempo nostalgico. Un ottimo mix. Trascrivo da pag. 13 una riflessione dell’autore sull’amico morto che esprime perfettamente il dramma dell’indifferente incedere del giorno a dispetto del dramma personale. “… Il senso dell’assurdo che accompagna la morte delle persone ancora sane l’aveva seguito per tutto il giorno, spesso nella vigna in maglietta e pantaloni da lavoro, sotto un sole vivo che pareva, dopo gli scrosci dei giorni scorsi, non volersi più riposare”. E poi ancora da pag. 14 la riflessione di Del Sapio sull’amico scomparso che oramai non vedeva da tempo: “….Era quasi un estraneo oramai, crediamo che l’amico resti lì ad aspettarci e di poterlo ritrovare in ogni momento, ma ogni giorno nuove cose lasciano i loro resti di colori e polvere ad otturare i vecchi canali di comunicazione per cui bastava un gesto o uno sguardo per capirsi. Si rimane un po’ a combattere per cercare di trovare la chiave, la parola, il lessico per riattivarli, poi con tristezza si capisce che restano solo i ricordi e quel fondo di rispetto e malinconia per ciò che ci siamo dati, per ciò che siamo stati….”.
In definitiva un ottimo esordio per Andrea Pazzaglia ed un nuovo protagonista quello di Leonardo Del Sapio, indubbiamente bucolico, ma tanto umano, e che spero di poter rincontrare ancora.
Leonardo potrebbe essere ognuno di noi se solo avessimo il coraggio di buttare la nostra valigia 24 ore in un fiume e andare a vivere in campagna coltivando la terra per un ottimo vino.
“Lasciare la noia talvolta è più difficile di affogarci”.

Ivo Ginevra

venerdì 13 agosto 2010

Memoria di una geisha

Hollywood geisha! E' questa la frase che racchiude in se tutto lo sforzo ed il prodotto dell'accoppiata Spielberg Marshall, dai quali era logico aspettarsi di più. Molto di più. La storia è mielosa e strappalacrime fin dall'inizio (vendita della piccola bambina alla casa di geishe). Continua nell'addestramento alla professione, si ridicolizza nell'amore segreto della giovane geisha per il "direttore generale", lascia perplessi sulla riffa organizzata per cedere la verginità della gheisha, diventa priva di pretese nella oscura fase della guerra mondiale e pateticamente si conclude nel coronamento della storia d'amore fra i due protagonisti. In questo film c'è tutta la Hollywood bella e vuota dei grandi registi americani. Bello e vuoto è, infatti, il prodotto, che non tratta alcun tema in modo approfondito (e sì che ce n'era di carne sul fuoco). Bello e vuoto è lo schermo. Bella e vuota è l'interpretazione dei personaggi, usciti tutti ridimensionati da questa storiella (fatta eccezione per l'ottima Gong Li). E' tutto, tutto bello e vuoto e non lascia alcun spazio a riflessioni sui temi trattati, ma quel che peggio, tratta anche molto marginalmente la storia, cultura e filosofia della Ghescia e del mondo nipponico.

Ivo Ginevra

La giostra dei criceti

Manzini riesce a farti respirare l'aria della periferia degradata, con le sue miserie, ambizioni, atmosfere e odori. Ti attacca sulla pelle la speranza di chi vuol cambiare vita ad ogni costo, a prescindere dal prezzo da pagare, fosse anche la vita stessa l'ultimo prezzo. Guarda all'amore fraterno come un valore certo e lo tradisce come spesso avviene nella quotidianità giornaliera. Nel romanzo colpisce la descrizione effettuata dal Manzini, della voglia di un delinquente anti eroe, di anelare ad un’esistenza fatta dalle tradizionali certezze dei valori comuni (amore, famiglia), fino a trasformare un essere dalla condotta deprecabile, in simbolo di un immaginario riscatto con rinascita. Libro veramente gradevole! Ricco di una vena creativa piena di colpi di scena nella migliore tradizione del thriller.
Da leggere.

Ivo Tiberio Ginevra

L' uccisore di ombre

Ho letto con piacere questo libro e devo dar merito al suo scrittore, di essere riuscito a creare il prototipo del killer per antonomasia, coniugando alla perfezione l’esigenza letteraria con l’introspezione psicologica, e questo fin dall’inizio, partendo proprio dal suo aspetto fisico “…. lo sguardo anonimo, il volto insignificante. Un uomo normale. Statura media. Corporatura asciutta. Capelli castani tagliati in modo poco vistoso, abbastanza corti ma non rasati. Vestiario sobrio. Niente segni particolari. Niente accento. Invisibile”.

Perfetta e stimolante appare l’analisi che il personaggio fa di se stesso nella ricerca delle radici assassine: “…non bastano l’avvilimento e la nausea a dar ragione o a rendere accettabile e comprensibile una condotta come la mia. Eppure è da lì che tutto comincia ….. mi resi conto che l’alternativa all’annichilimento graduale di una esistenza monotona e assurda era ed è l’altrettanto assurda, ma consapevole, scelta di fare quello che nessuno vuol fare”.

Indubbiamente apprezzabile è la sua forza: Nella mia normalità. Nell’insignificanza del mio aspetto risiede tutto il mio potere. Mi sento invincibile”. “ Mi sento bene. Solo come sono. Senza prospettive, senza domani, senza legacci, senza vincoli, senza regole. Quei dannati burocrati dovrebbero provare come ci si sente ad essere me”.

La sua professionalità: “Tutta la mia attività si basa sul calcolo. Sulla programmazione e la previsione. Sulla consapevolezza dei potenziali pericoli. Sull’assunzione dei rischi calcolati”. ….”Sono una scheggia di perfezione e di integrità. Sono l’esempio di rettitudine in mezzo all’approssimazione, alla distrazione alla disattenzione”.

La sua visione filosofica della vita: “Ho smesso di temere per la mia vita quando ho smesso di credere che avrebbe avuto un senso”.

La sua consapevole analisi: “Non c’è odio, in me. Non c’è rabbia. Non c’è desiderio. Non c’è sentimento né passione”.

Il suo humour: “Per i sicari dovrebbero esserci dei tabelloni come per i pugili. Vinte, perse, ko. Solo che per noi appena una è persa finisce il gioco. E tutte le vittorie sono per ko”.

Antoine è un Killer perfetto!

Bella è la storia. Asciutto e calzante il modo di raccontarla.

A Giorgetti va il merito di aver creato un personaggio con un’introspezione completa, anche se criminale. Di perfetto criminale!

L’unico neo, ma piccolo, sta nell’essersi prolungato in una ricerca di: “come è cominciato tutto”. A mio avviso questa interruzione ha dato una leggera discontinuità all’azione del killer, che alla fine riprende vigore con gli ultimi capitoli nel perfetto stile del romanzo noir.

Ivo Ginevra

lunedì 2 agosto 2010

IL DIAMANTE CODALUNGA DA ESPOSIZIONE "STANDARD" (Poephila acuticauda)

Testo di Ivo Ginevra
Foto Alcedo
Pubblicato su Alcedo n. 10 anno 2003

La fauna australiana ha nel Diamante coda lunga uno dei suoi esemplari più tipici e addirittura più belli che un allevatore di Estrildidi possa desiderare. Questo splendido Poephila non crea assolutamente alcun problema per quanto riguarda il suo mantenimento in cattività o la sua riproduzione, pertanto in questa nota non starò a scrivere niente di tutto ciò; oggi voglio semplicemente richiamare l'attenzione sullo standard, partendo dalla considerazione che più sono i disegni ed i colori che deve possedere un soggetto, più sono le difficoltà espositive che si presentano. Infatti, un attento osservatore od un giudice andrà subito a guardare nei punti critici e gioco forza potrà tranquillamente emettere la sentenza; quindi, affinché si abbiano dei buoni verdetti non occorre soltanto conoscere i giusti criteri di valutazione degli uccelli ma, anche e soprattutto, saperli esaminare con attenzione ed umiltà, perché solo quest'ultima è la componente essenziale e necessaria per far crescere l'allevatore .... ed anche l'uomo che è in lui. Rimandando, quindi, l'allevatore per l'apprendimento dell'umiltà allo studio dei precetti di vita sciorinati dagli appositi educatori, staremo qui semplicemente a descrivere lo standard del Diamante coda lunga applicato della Federazione Ornicoltori Italiani, analizzando singolarmente le voci che lo compongono e cioè la forma, la proporzione, la taglia, il disegno, il colore, il piumaggio, il portamento e le condizioni generali.
LA FORMA, LA PROPORZIONE E LA TAGLIA
Una considerazione particolare deve porre l’allevatore nella selezione del Diamante codalunga, proprio alla coda. E' già esplicito capire dal nome di questo diamante, che la coda è una delle principali voci di giudizio. Le due timoniere centrali devono addirittura misurare 9 cm., mentre le restanti penne hanno una lunghezza totale di 5 cm.. Il resto del corpo deve avere una misura d'altrettanti 9 cm. Quindi, riassumendo, la lunghezza complessiva ideale di questo soggetto è di 18 cm. equamente divisa a metà fra corpo e coda. Chiaramente è un difetto da penalizzare una coda troppo lunga o troppo corta. La forma deve esprimere nell’insieme, armonia e robustezza specialmente nelle parti superiori, mentre nelle zone inferiori in modo particolare nel ventre, è sempre da preferire un aspetto molto affusolato.
Guardando il Codalunga frontalmente, questo deve esprimere nella parte testa-collo-petto, una buona possanza; infatti, per la testa è obbligatoria una forma trapezoidale ben piantata sul collo, con una base abbastanza larga rispetto al vertice e deve essere sporgente in avanti esprimendo fierezza. Il petto si presenta piuttosto arrotondato e pieno, conferendo al poephila un'impressione d'ottima salute. Se poco sviluppato o sporgente o addirittura eccessivamente largo subisce una penalizzazione da parte del giudice; stessa penalità è riservata ad un soggetto con il collo piccolo o corto. Gravissimo ed irrimediabile difetto è quello di possedere un collo stretto. Anche la testa piatta contribuirà a svalutare il codalunga. Per il resto, terminando il discorso sulla forma - proporzione - taglia, non scordiamoci che le ali non devono essere troppo lunghe rispetto al corpo, e che il ventre non si deve assolutamente presentare di forma tondeggiante e ciò grazie alla tendenza naturale del codalunga di appesantirsi di grasso.
IL DISEGNO
I disegni distintivi di questo splendido diamante australiano sono quelli marcati e tipici dei Poephila. Infatti, anche i suoi cugini Diamante bavetta e Diamante mascherato hanno gli stessi tratti distintivi, e cioè la bavetta, le redini, il calzone. Nel diamante codalunga, la bavetta è più estesa possibile con forma trapezoidale ed assolutamente ben disegnata; i suoi cugini, invece, la possiedono più piccola, come nel caso del Diamante bavetta. Che la bavetta sia nettamente disegnata e più estesa possibile, è un requisito essenziale. Altro segno distintivo sono le redini, precisamente quella fascia che congiunge l'occhio con la parte superiore del becco. Queste devono essere qnch'esse ben nette, delineate e marcate. Viceversa, sottili o peggio interrotte, andranno a penalizzare notevolmente l'estrindide che, oltre a perdere una delle parti caratteristiche del proprio disegno distintivo, perderà completamente il fascino di mistero che questa striscia sa esprimere. Terzo elemento distintivo è il calzone, così chiamato parafrasando il capo tessile adoperato dall'uomo: infatti coprirà la gamba e contribuirà a fare una forma slanciata al ventre, o ad appesantirlo se quest'ultimo è grasso. Così come le redini e la bavetta,dev'essere ben delineato e più largo possibile. Vale anche per questo la penalità se la forma è sottile, sfumata, non simmetrica o peggio irregolare. Un pregio particolarmente ricercato e che spesso dai più viene scambiato per difetto, è quel sottile filo bianco che compare simmetricamente nelle remiganti esterne del diamante codalunga. Altro pregio da considerare particolarmente, ma anch'esso scambiato per difetto, è una macchia bianca e simmetrica che riguarda le due timoniere esterne. Anche la separazione tra il dorso e la nuca deve essere, come tutti i disegni di questo diamante, ben netta e delineata.
IL COLORE
I colori del diamante codalunga vanno dal nero al bianco, dall’azzurro al ruggine, variano quindi interessando sia i lipocromi che le melanine, le eumelanine e le feomelanine. Rigorosamente nero smagliante e uniforme sarà il colore della bavetta, del calzone, delle redini, della coda e dell’occhio.La testa esprimerà un colore azzurrastro splendente dove risalterà un becco giallo nel diamante ancestrale, o rosso corallo nella sottospecie HEKI. Il petto ed il ventre avranno una colorazione uniforme e violacea, consentendo di far risaltare ancora di più il nero brillante della bavetta e dei calzoni. Il dorso partendo da un color ruggine particolarmente scuro andrà a fondersi con il grigio-marrone scuro delle ali. Il sottocoda ed il basso ventre saranno di colore biancastro.Le zampe saranno di un bel colore rosso corallo in pandane con il becco, anch’esso di questo colore nella varietà HEKI, mentre di un colore rosato nella specie ancestrale a becco giallo.Le femmine, generalmente hanno dei colori meno luminosi rispetto ai maschi con un colore leggermente più carico nella zona delle guance e del vertice.Il codione è di un bellissimo bianco candido.
IL PIUMAGGIO
Particolarità dei diamanti australiani in genere è quella di avere un piumaggio abbastanza serico, aderente al corpo e molto consistente, specialmente nelle zone dove si estrinseca il disegno. Anche il codalunga possiede queste particolarità del piumaggio. Infatti, è uno di quei pochi uccelli da gabbia che non ha le classiche sbuffature ai fianchi e nel sottocoda, anche se ultimamente si cominciano a vedere, purtroppo, dei soggetti con queste sbuffi fuoriuscenti dalle ali. Una particolare attenzione merita, come già detto prima, la coda del nostro estrildide con le sue due caratteristiche timoniere centrali larghe e robuste nella parte iniziale e centrale e di ” buona consistenza” fino agli apici. E’ ammessa anche una leggera rialzatura in alto di quest’ultime nella parte finale. Assolutamente da scartare i soggetti con una coda sfilacciata o striminzita e particolarmente sottile nella parte finale. Una coda con timoniere troppo sottili o diseguali è chiaramente da penalizzare e la penalità sarà grave se mancherà una o peggio ancora ambedue le timoniere centrali.
IL PORTAMENTO
La natura di questo Estrildide è piuttosto vivace, e deve al giudizio presentarsi piuttosto sveglio, attento, saltellando da un posatoio all’altro. Un codalunga che si mostra particolarmente nervoso aggrappandosi alle sbarre della gabbia per l’eccessivo nervosismo è un soggetto da penalizzare, così come se mostri un atteggiamento sonnolento con il ventre poggiato sul posatoio. L’ideale è quello di manifestare una figura protesa in avanti, con uno sguardo attento a tutto ciò che lo circonda alternando una posizione di 45 gradi sulla bacchetta, a momenti che esprimono fierezza levandosi con la testa e con il petto verso l’alto e tenendosi ben saldo al posatoio con le zampe parallele.
CONDIZIONI GENERALI
La pulizia e la salute sono richieste per tutti gli uccelli da gabbia, d’altronde è inconcepibile vedere in una gabbia da esposizione un soggetto gonfio, “ appallato “ o particolarmente sporco. Il nostro diamante codalunga di per sé è un animale che, dotato dalla natura di un piumaggio serico e brillante, difficilmente si vede in condizioni dimesse, tuttalpiù potremo vederlo con qualche penna rotta, sciupata, ma in ogni caso, le timoniere centrali devono presentarsi usurate o spezzate. Stesso discorso vale anche per le penne dell’ala, che non devono esprimere un senso di trascuratezza con delle sfilacciature laterali dovute allo sciupìo. Sia le zampe che il becco non devono assolutamente presentare scagliosità . Il becco non deve avere la parte superiore più lunga di quella inferiore, e le due parti devono unirsi perfettamente.
L’attento allevatore al fine di evitare stupide penalità nelle condizioni generali, deve per tempo preparare il soggetto alla mostra, tirandogli le penne rotte o usurate e facendo sì che queste ricrescano ben pulite, somministrando l’acqua per il bagnetto quotidianamente. Inoltre, taglierà per tempo le unghie troppo lunghe ed il becco che nella sua parte terminale superiore è un po’ più cresciuto rispetto a quella inferiore.
Il diamante codalunga, essendo tra l’altro un animale abbastanza prolifico, se allevato bene e ben selezionato è in grado di dare all’allevatore innumerevoli soddisfazioni alle mostre ornitologiche perché riesce sempre, con i suoi colori sobri, i disegni marcati ed il suo portamento fiero ed attento, ad impressionare favorevolmente sia il giudice che il distratto visitatore della esposizione.
Ivo Ginevra

domenica 1 agosto 2010

IL TROMBETTIERE DEL LICHTENSTEIN (Rhodopechys obsoleta)

testo ed allevamento di Ivo Ginevra
Fotografie di Alcedo
Pubblicato su Alcedo al n° 17 anno 2004

Era da almeno tre anni che il mio amico Giovanni di Cefalù mi invitava a trascorrere un'intera giornata in sua compagnia. In tre anni ci provò in tutti i mofi: "Vieni, ci faciamo una bella pescata dalla barca e poi una bella mangiata di pesce fresco. Porta i bambini, si divertiranno un mondo". Era una musica e sempre la stessa, ma poi lui disse l'unica cosa che mi costrinse ad accettare e, come può intuire l'allevatore che sta leggendo, questa "unica cosa" non poteva altro che essere la visita al suo allevamento. Sapevo benissimo che avrei trovato cose spettacolari,quindi accettai e.....non mi sbagliavo proprio. lì c'era tutto quello che poteva fare impazzire un appassionato di fringillidi ma, nel frattempo che Giovanni con orgoglio mi guidava fra i tesori che contenevano le gabbie, i miei occhi, purtroppo per lui, caddero su una coppia di Trombettieri del Lichtenstein. Erano stupendi e così belli non ne avevo mai visti. Non manifestavano il benchè minimo timore alla mia insistente curiosità anzi, proprio davanti a me, il maschio con fare abbastanza amorevole sollevandosi sulle zampe, cominciò ad imbeccare la femmina che, protesa al suo petto, agitava le ali con gli occhi chiusi, sognanti, come se fosse innamorata. Meglio degli uomini (dissi tra me e me). L'amico mi tirava a sè per continuare la visita fra i suoi capolavori, ma oramai i miei occhi e la mia mente erano tinti di bianco, nero e rosa, i colori delle ali del Trombettiere. Ritornai innanzi alla gabbia dei Rhodopechys e, piantando gli occhi addosso a quelli di Giovanni, con tono imperativo, dissi: "tu vuoi continuare ad essere ancora amico mio?" Lui capì subito e, bofonchiando il più classico dei "Ma chi me l'ha fatto fare, ed io che ho pure insistito affinchè venisse a trovarmi! Chi è causa dei suo mal pianga se stesso", guardandosi intorno cominciò a ciabattare nella stanza finchè non trovò un trasportino, e messi dentro i due trombettieri, con fare gioviale e ridendo, proferì: "Andiamo a mangiare, prima che vuoi qualche altra cosa!"
Gongolavo di gioia al pensiero di aver fatto un colpaccio così grosso per la prossima stagione d'allevamento, ed ero proprio curioso di vedere, sapere e studiare questi meravigliosi uccelli. Giunto a casa, cominciai le ricerche su questo fringillide della famiglia dei Rodopechys e scoprii che oltre alla obsoleta, impropriamente chiamata ali rosa, vi era il vero Trombettiere ali rosa (R.Sanguinea) vivente in Cina Settentrionale, Turchia ed anche Marocco. Inoltre, insieme al Trombettiere Mongolo (R. Mongolica) anc'esso vivente nello stesso areale dell'Ali rosa ma più esteso in Asia ed assente in Africa, vi è il Trombettiere propriamente detto (R. Githaginea), quest'ultimo più esteso in quasi tutto il continente africano, ad eccesione della sua parte meridionale e comunque anch'esso presente in Cina e Mongolia.
Il nostro Lichtenstein, che non ha la sua residenza nell'omonimo principato europeo (è stato semplicemente chiamanto così in onore del suo studioso e scopritore) è anch'esso di habitat Asiatico e, come i suoi cugini, vive in Cina e Mongolia, estendendosi fino alla Turchia. Non è invece presente in Africa. Si segnalano anche delle colonie in Medio Oriente, Giordania in particolare.
L'obsoleta preferisce le zone calde ed aride a quelle con ricca vegetazione, e si armonizza perfettamente com il paesaggio grazie al colore bruno chiaro del dorso delle parti superiori.
Anche il petto è di un colore bruno ma più chiaro, fino a diventare bianco candido sul ventre. Ha, inoltre, una bella taglia di 15 cm ed una silouette affascinante come quella di un fringuello, ma a differenza di questo il dimorfismo sessuale è appena evidente. I colori, nella femmina, sono leggermente più opachi, ma poi per il resto i due sessi sono praticamente uguali, ad eccezione di una striscia nero ludico che collega il nero becco all'occhio, che nella femmina è mancante. Nei giovani maschi, questa strisciaè di colore bruno annerato ed è un segno di distinzione dei sessi. La striscia nera è nel maschio l'espressione massima del fascino di questo fringillide, perchè riesce con decisione a spezzare il candore del bianco e la dolcezza del rosa delle ali; inoltre, legandosi con decisione alla parte nera delle penne d'ali e coda, imprime insieme al suo becco forte, lucido, conico e nero, un'aria di fierezza, mistero, forza ed eleganza che mal lo adatta a gabbie di piccole dimensioni.
La femmina, dal canto suo, grazie alla mancanza di questa striscia, esprime il massimo del candore e dell'eleganza, dovuta alla colorazione delle ali. Ma anche i piccoli non sono meno per candore e dolcezza. Escono dal nido con un piumaggio bianco, appena leggermente spolverato di bruno chiaro, nel quale spicca la tipica colorazione delle ali. Il becco è bianco perla e l'occhio grande e nero. I giovani, per il candore che esprimono, mi ricordano i piccoli della foca, così bianchi e indifesi e per come dipendono in tutto e per tutto dalla madre che una solerte imbeccatrice anche in cattività. I giovani del Lichtenstein manifestano quest'aria di dolcezza anche quando richiedono il cibo: infatti, nei confronti della madre non sono insistenti e persecutori, ed il verso del richiamo è abbastanza gentile.
Particolare attenzione richiede la fase dello svezzamento, che è abbastanza lunga e sicuramente molto impegnativa rispetto a quella di un comune fringillide. Pertanto, se il Lichtenstein è messo a balia, avrà senz'altro bisogno di qualche imbeccata da parte dell'allevatore che, per evitare questo problema dovrà entrare in confidenza con i piccoli già nel nido, fornendo loro delle imbeccate specialmente a base di proteine animali. Proprio le proteine animali sono la base della crescita dei pullus, speciamente nei primi giorni di vita.
Pertanto, i riproduttori dovranno essre abituati a cibarsi dei tipici alimenti d'origine animale reperibili in commercio e specialmente dei più comuni, come ad esempio delle tarme da farina, delle uova di formica, dei bigattini, ecc. Ribadisco, che una buona crescita od addirittura la stessa sopravvivenza dei piccoli è strettamente legata all'assorbimento di queste proteie animali quindi, invito tutti a voler insistere nella somministrazione di tali alimenti finchè i riproduttori li accettino ed in ogni caso è consigliabile abituare preventivamente le balie canarine o Carpodachi messicani a questo tipo di alimentazione.
Nel caso della mia coppia di Trombettieri, entrambi non mostrarono alcun interesse per questa alimentazione e non riuscii in nessun modo a far prendere loro anche una sola tarma. Il problema l'ho superato con un inganno che suggerisco anche a chi non deve allevare soltanto trombettieri. In pratica, mi sono procurato delle confezioni di farina animale ed ho mischiato questo integratore a qualunque cosa manfiavano i miei beniamini, in particolare al pastoncino inumidito. I miei Lichtenstein hanno trovato abbastanza appetitoso il grano germinato ed il grano saraceno ammollato nell'acqua. Non ho usato la canapuccia bollita, che sta alla base dei successi di alcuni allevatori, anzi non ho usato alcun seme oleoso o nero. Ho evitato l'apposito utilizzo di tali semi grassi non perchè il Trombettiere sia un soggetto particolarmente delicato, ma perchè possiamo offrire alimenti indubbiamente più sicuri e migliori da un punto di vista nutrizionale. Personalmente, li ho abituati ai savoiardi inzuppati nel latte ed al riso soffiato sempre rinvenuto nel latte ma "truccato" con la farina animale.
Come dicevo prima, la femmina è una grande imbeccatrice, e riesce ad ingozzare i pullus riempendoli a tal punto da obbligarli a sforzi tremendi per riuscire ad alzare il collo.
Il maschio è molto delicato, ed imbecca la sua compagna per tutta la durata della fase riproduttiva, offrendo cibo in continuazione, che lei gradisce agitando le ali con il tipico tremolìo dei fringillidi, ma...non sono "tutte rose e fiori", perchè il maschio è anche molto "caldo", e pretende di accoppiarsi spesso. Infatti, nel periodo di maggiore estro è così focoso da essere in grado di distruggere un'intera covata e con una violenza inaudita, pur di ripossedere la femmina che logicamente lo rifiuta per accudire alla cova o ai pullus; subito dopo aver dato sfogo ai suoi bisogni, come d'incanto, ritorna ad essere dolce e premuroso verso la sua compagna.
In pratica una specie di Dottor Jekyll e Mister Hyde del mondo animale, ma scoperto il carattere del nostro beniamino possiamo tranquillamente correre ai ripari, utilizzando un divisorio, ed addirittura volgere a nostro favore il carattere "caliente" del Trombettiere accoppiandolo con canarine o altri fringillidi che preventivamente, nel periodo di riposo, abbiamo fatto svernare insieme. Comunque, parlando sempre della mia esperienza, una volta immesso il maschio Trombettiere nella gabbia delle canarine quest'ultimo, tenendo fede al suo nome di Trombettiere, le ha coperte immediatamente, violentando anche quelle non disposte ad accettarlo, per poi abbandonarsi alla sua consueta dolcezza. Comunque, l'obsoleta maschio che prende il suo nome di Trombettiere dall'emissione del canto nasale e non dalle prestazioni amorose che è in grado di fornire, è un vero stallone capace di rendere estremamente fiero il suo proprietario se usato in ibridazione. Purtroppo in questo settore, forse perchè poco importato o poco allevato in cattività, non è per niente sfruttato ma credetemi, quando è in estro non sottilizza molto sulla compagna che gli viene affibbiata, quindi va usato al massimo anche perchè tutti gli ibridi riescono ad avere la tipica ed originale forma del becco che aggiunge fascino al fascino.
Anche se il Lichtensetein si adatta tranquillamente alla gabbia da cova di 60 cm è bene, nel periodo riproduttivo, alloggiarlo in gabbioni da 120 cm. o in volierette, perchè è necessario dare alla femmina un considerevole spazio per la fuga all'irruenza del maschio, in grado di rincorrerla senza sosta e senza farla fermare per bere o mangiare, finchè la stessa non lo accetta e si dispone per l'accoppiamento.
Subito dopo ecolo ritornare il caro Dottor Jekyll che riesce a diventare eccessivamente affettuoso e prodigo d'imbeccate. Non ritengo sia utile parlare degli indubbi vantaggi che trae la coppia ospitata in tali gabbioni, specialmente per l'utilizzo del divisorio che consente un adeguato spazio ai riproduttori ed ai novelli. Il Tormbettiere si adatta facilmente alla vita captiva e riesce a nidificare tranquillamente in gabbia, ma è in ogni caso buona norma aiutarlo fornendo del materiale da nido un po' ricercato, come ad esempio, oltre ai classici sfilacci di juta aggiungere le fibre di cocco o qualche altra ricercatezza oramai facilmente reperibile nei negozi specializzati. E' altresì conveniente dare una mano alla femmina nel trovare il sito della nidificazione, mettendo a disposizione più nidi nei vari angoli della gabbia, schermandoli adeguatamente e dando un'adeguata stabilità al cestino, che deve essere delle dimensioni opportune e in ogni caso di media grandezza.
La costruzione del nido non è proprio un capolavoro dell'ingegneria con le ali, ma va benissimo alla bisogna. Forse è bene aiutarli con imbottiture da nido già pronte ed, in ogni caso, bisogna fornire il materiale da nido necessario alla costruzione, levando quello in eccedenza. Un aiuto può essere dato anche dall'ovatta, che riesce a stimolare molte specie di fringillidi. La mia femmina di trombettiere ne impazzisce letteralmente, e con cura ha rivestito l'interno del nido, tenendolo sempre pulito durante tutta la cova, specialmente nei primi giorni di vita dei piccoli. Le uova deposte sono generalmente 4 o 5, e l'ultimo è un po' azzurrato, così come accade nella femmina dei canarini. Le covate sono generalmente due e la futura mamma abbisogna di un forte supporto di sali minerali ed ossi di seppia, al fine di favorire la formazione del calcio necessario per le uova, mentre al maschio va somministrata un'alimentazione rigidamente a base di scagliola e panìco, perchè ha la tendenza eccessiva ad ingrassare.
Un'ultima raccomandazione: quando tenete i Trombettieri nelle mani, non lasciatevi conquistare dalla tranquillità dei soggetti, perchè la loro calma è soltanto apparente. Al minimo allentamento della presa cercheranno di scappare, provocandosi qualche spiacevole incidente, come la frattura di un'ala. Ricordate sempre che il pericolo è in agguato, anche se vi considerate degli esperti.
"La favola bella" si è conclusa con la grande soddisfazione di vedere al Campionato Italiano di Piacenza una coccarda tricolore appesa sulla gabbia; il mio maschio era, infatti, risultato il primo della sua categoria, ripagandomi ampiamente di tutti i sacrifici. Da allora, ai miei occhi, è diventato ancora più bello!
Penso di aver detto tutto quanto sappia sui Lichtenstein e spero di non avervi tediato nella lettura.
Ah! Dimenticavo, recita uno slogan caro a noi allevatori per diletto: "finchè noi li alleviamo essi non si estingueranno". Giusto, ma io aggiungerei dopo la parola "alleviamo" la frase "con amore". Credo sia molto meglio così, in fin dei conti l'amore è l'unica cosa che ci consente di fare tutto bene, compreso l'impossibile.
p.s.: inutile dire quanto ringrazio Giovanni, il mio amico di Cefalù!
Ivo Tiberio Ginevra